
diritto allo studio
Signori e signore, la cosiddetta “bolla formativa” italiana è esplosa. Anni e anni di riforme disastrose, fumo negli occhi, pie illusioni vendute come solite certezze, ruberie, baronie, cialtronerie, miopie e chi più ne ha più ne metta. In Italia (e non solo) sempre più persone sembrano aver capito che un titolo di studio preso “a caso” non solo non serve a nulla ma può addirittura essere controproducente.
Incredibile ma vero e a dirlo non è qualche fuori-corso pluribocciato perditempo un po’ rosicone ma l’OCSE con uno studio ad hoc del quale si è parlato poco e male (presi come siamo a contare i “pochi laureati” che abbiamo nella penisola). Ma cosa dice lo studio che si chiama Education at a glance? Prima di tutto che l’Italia è penultima per spesa destinata all’Istruzione pubblica (4,7% del Pil contro un 5,8 di media europea). Poi che anche le retribuzioni dei docenti sono tra le più basse in assoluto (siamo al 24° posto su 27 disponibili per gli insegnanti delle primarie e al 23° per quelli delle scuole medie e superiori). Bassissima anche la media dei laureati, come dicevamo: il 15% tra i 25 ed i 60 anni contro una media UE più che doppia, del 31%. Eppure, proprio tra i laureati che negli ultimi anni abbiamo fatto di tutto per sfornare in massa, la disoccupazione aumenta di un quasi 6% e di più rispetto a quella riscontrata tra i diplomati. Anche il rapporto tra la differenza di reddito tra “dottori” e non si è assottigliato fino a diventare risibile: i primi guadagnano in media appena il 9% in più rispetto a chi non ha proseguito gli studi accademici (il tutto senza considerare che andare all’Università fino ai 23-24 anni costa e non poco).
Come si legge anche sull’ottimo blog “furiadeicervelli.blogspot.com”, poi, L’OCSE stessa definisce la riforma Berlinguer-Zecchino del 2000 (quella del rovinoso 3+2) “Un’occasione mancata colpa anche della contrazione dei posti nella dirigenza delle pubbliche amministrazioni, che erano in passato lo sbocco privilegiato per i vostri laureati, e del boom di offerta di corsi i cui profili non trovano corrispondenza sul mercato”. E non è un caso se, stando a quanto riferisce Almalaurea, dal 2000 ogni anno le iscrizioni alle Università calano di oltre 40.000 unità. I giovani stanno cioè rinunciando in massa alla formazione accademica; sempre più confusi, disillusi e consapevoli dell’inadeguatezza generale del nostro un tempo granitico e valido sistema d’istruzione pubblica.
IL CROLLO DELLA QUALITA’, ATTRAVERSO LE RIFORME
Volendo emulare i “vicini” europei e soprattutto i modelli anglosassoni imposti dalla globalizzazione, infatti, i vari ministri dell’Istruzione alternatisi negli ultimi anni hanno sfornato un pastrocchio insipido che ha comunque fallito nel rendere le Università un po’ più attente alla pratica. Al momento, in molti casi, si esce dagli atenei tendenzialmente più ignoranti dei colleghi neolaureati di 30 o 40 anni fa ma comunque non più capaci dal punto di vista professionale. Un vero peccato visto che, in passato, i laureati italiani potevano comunque vantare una cultura generale superiore rispetto ai colleghi tedeschi, spagnoli, francesi e via dicendo. Eppure, a quanto pare, la già incontestabile flessione qualitativa non basta. Spendevamo molto meno dei nostri amici europei ma abbiamo dovuto “per forza” pensare a 8,5 miliardi di euro tolti alla scuola e ad ulterio 1,4 miliardi eliminati dai fondi per l’Università. Il tutto mentre le tasse aumentano ma l’offerta formativa di tanti, troppi atenei resta incredibilmente vecchia e totalmente scollegata dalla realtà e dalle esigenze del mercato professionale contemporaneo. E mentre Confartigianato fa presente che che, nel 2011, 45 mila posti tra i mestieri artigiani “ad alta intensità manuale” sono rimasti scoperti per mancanza di candidati, si scopre anche che, sempre nel 2011, i profili più ricercati tra i “giovani” sono quelli dei cuochi, camerieri e di altre professioni dei servizi turistici (+23,4%).
IL PERICOLOSO MESSAGGIO DIFFUSO
A questo punto, il messaggio pericolosissimo che potrebbe passare è che studiare non serve più. Che leggere decine e decine di libri degni di tale nome sia inutile e addirittura controproducente. La verità, invece, è che oggi più che mai è vero l’esatto contrario e cioè che solo la conoscenza e la lettura appassionata di centinaia e centinaia di volume possono rendere liberi e più consapevoli delle strade da scegliere per costruirsi un esistenza dignitosa. L’errore madornale delle Università italiane è stato infatti quello di “semplificarsi” fino a svuotarsi, tramutandosi in enormi allevamenti che gestiscono eserciti di polletti in batteria erroneamente convinti che quella relativa facilità con la quale si ottiene una triennale significhi essere divenuti “colti” e preparati in qualcosa. Il conformismo imposto da un numero crescente di atenei, ha prodotto un’inflazione di titoli inutili in primis per le modalità con le quali sono stati elargiti. Non si formavano nuove coscienze eccellenti ma individui bravi prima di tutto a studiare poco ed in fretta, confrontandosi poco o nulla con altri colleghi e docenti e frequentando i corsi come si trattasse di una maratona nozionistica.
Con queste premesse, è ovvio che un numero sempre più elevato di “dottori” si sia ritrovato non solo senza un lavoro ma anche senza un’idea pur vaga di cosa fare “da grande”. Ora, scaricare tutte le colpe di questo sfacelo sui “giovani troppo choosy”, come anche e soprattutto questo governo tecnico non eletto ha fatto, è vigliacco oltre che ingiusto e miope. Le responsabilità maggiori, difatti, sono senza ombra di dubbio di coloro che hanno massacrato l’istruzione pubblica e che hanno sperperato risorse economiche per decenni. Ministri, parlamentari ma anche rettori, presidi e docenti. Chi aveva l’onere di formare una nuova generazione di intellettuali ha miseramente e ripetutamente fallito. Ora tenti di recuperare un briciolo di dignità, fare autocritica e pensare a qualcosa di meno vergognoso e disastroso dei “tagli”. Come, Dove e quando? Beh siamo qui per accettare proposte anche da chi non è plurititolato e lautamente stipendiato per svolgere un lavoro che dovrebbe onorarlo e invece, a quanto pare, lo annoia e lo arricchisce soltanto.
di Germano Milite – www.you-ng.it